Su Matilda Ziegler, sulle medium e sulla selezione del personale Avis

Vi dice niente il nome di Matilda Ziegler? Non dovrebbe. Riformuliamo la domanda. Avete presente la fidanzata di Mr. Bean? Quella bionda occhialuta, spigolosa, bruttina, che a Natale vorrebbe un anello e riceve invece il cartellone che lo pubblicizza, insieme al pratico gancio abbinato? Ecco, quella è Matilda Ziegler.

Impossibile resisterle.

Tutto questo per dire che mercoledì sono andato per la prima volta in un centro Avis (a Monterosso, quartiere di Bergamo) e la tipa che mi accettato all’accettazione era identica alla sciura Ziegler.

Mi dicono che dei circa sessanta milioni di persone che popolano il suolo italico, solo un milione e mezzo dona il sangue. Non credo sia questione di egoismo di massa, né di terrore per gli aghi. È che semplicemente tutti dicono “donare il sangue? Figata, non ti costa niente e aiuti un casino di persone” ma allo stesso tempo pensano “andare a donare il sangue? Mmm, adesso non posso, sto giocando a Fifa. Magari domani, se mi avanza tempo. Al massimo vado nel weekend”. Poi, ovviamente, non ci vanno. Sia chiaro, non è un accusa, sono il primo a non essermi mai posto il problema. Però a ‘sto giro l’omino del cervello ha acceso la luce, e approfittando dell’enorme quantitativo di tempo libero a disposizione (l’uni riprende il 14 ottobre), ho mosso il culo, direzione bigì.

All’ingresso mi aggiudico il numerino E007 (Daniel Craig, guarda e impara). Essendo Avis-mente vergine, non posso donare subito: mi toccano solo visita, elettrocardiogramma e prelievo del sangue per esami  (da qui la “e” del numerino). L’ambiente è spartano, l’atmosfera fredda; l’unico elemento di colore è dato dai monitor che regolano l’afflusso dei donatori. In sottofondo si sente una radio che passa Tiziano Ferro. Sì, insomma, il primo impatto non è dei migliori.

Poi la già citata Ziegler mi accetta e mi fa compilare un modulo. “Gli esiti arriveranno tra quaranta giorni circa”. Vabbène. Qui inizia una mezz’ora buona di sala d’attesa, con gente che entra ed esce piuttosto rapidamente da cinque dei sei ambulatori a disposizione. Solo il numero 1 è chiuso da una vita, e molto probabilmente è lì che devo andare, dato che almeno venti persone mi hanno bellamente scavalcato. Infine anche la porta del primo ambulatorio si apre, a uscirne è un giovanotto longilineo. Che si sia intrattenuto con la dottoressa come in una squallida commedia all’italiana degli anni ’70? Ma ogni malizia scompare quando me la trovo davanti: una 50enne bionda (tinta), occhi enormi (spiritati) e voce in streaming dall’oltretomba. Con qualche collanina strana potrebbe benissimo sembrare una medium di Lavandonia.

Brrr.

Con la voce ridotta a un sibilo, mi elenca tutti i vari casi in cui dovrei rimandare l’eventuale donazione. Che io in realtà non debba donare, è un altro discorso. Poi parte il questionario confidenziale, tra monosillabi reali e monologhi immaginari:

– Assume alcool?
– No (be’, non ne assumo durante i pasti, quello è certo, né ne bevo la sera in settimana. Tuttavia, occasionalmente, non riesco a resistere al richiamo di un buon gin tonic, bevanda che a mio avviso rientra con pieno diritto tra i più grandi piaceri concessici nel corso di questa effimera, ridicola esistenza. Non trova?).

– Soffre di perdite di peso?
– No (e me ne dolgo, non sa quanto! Esco a correre quattro volte a settimana ma la bilancia è implacabile, quando ci si mette. Non che sia obeso, per carità, però quei tre-quattro chili in meno mi farebbero tanto comodo).

Tutto ok, dice Dottoressa Medium. “Ora attenda il suo turno per l’ecg. Che gli spiriti siano con lei!”.

Stavolta l’attesa è breve, perché lo stanzino dell’ecg mi accoglie subito. E che accoglienza.

Immaginate la scena: un locale di due metri per due con un lettino, una scrivania con pc, uno scaffale, un appendiabiti e, com’è lecito attendersi, il macchinario per l’ecg. Incluse nel prezzo due giovanissime dottoresse, una delle quali davvero avvenente, che attaccano bottone con un “Ciao! Togliti la maglia”.

“Miao”.

Subito la dottoressa meno avvenente tenta di applicare un po’ di gel per le ventose sul petto (sul mio, eh, non sul suo), ma il gel non esce. Allora la ragazza scuote la bottiglia con vigore, e per alcuni, interminabili istanti temo di morire con un flacone di gel piantato nel cuore, una rivisitazione curiosa del vampiresco paletto di frassino. Sopravvivo. Mi rilasso. “L’elettrocardiogramma è ok, puoi andare”. Peccato, stavo giusto iniziando ad ambientarmi.

Il prelievo è una formalità (formalità eseguita da un’infermiera mica male, tengo a precisare), il sangue sgorga che è un piacere. Giusto il tempo di una brioche e di un caffè, e la gitarella all’Avis si è conclusa. E nel depliant informativo, ecco la triste notizia: l’ecg non ha cadenza annuale, bensì triennale.

Sospiro.

2 pensieri riguardo “Su Matilda Ziegler, sulle medium e sulla selezione del personale Avis

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