Braveheart Reloaded

Mentre il popolo italico si scopre paladino dei diritti delle orse brune, un po’ più a nord ci si appresta a partecipare a un referendum storico: domani, rispondendo alla domanda «Should Scotland be an independent country?», circa 4,3 milioni di cittadini scozzesi decideranno se staccarsi dal Regno Unito o mantenere lo status quo. E no, per una volta Mel Gibson non c’entra niente.

Ma perché mai il popolo del kilt vuole fare le valigie e dire addio alla nonna Elisabetta II e allo zio David Cameron? Tutto cominciò nel 2011, quando lo Scottish National Party dominò le elezioni politiche conquistando 69 seggi in parlamento (contro i 37 dei laburisti e i 15 dei conservatori) dopo una campagna elettorale all’insegna di una sola parola chiave: indipendenza. E l’ampio margine della vittoria alle urne consentì ad Alex Salmond, leader SNP e nuovo primo ministro, di avviare la procedura per il referendum “scissionista”, se così si può dire.

Perché separarsi? In parole povere Salmond e soci dicono: «Sono 300 anni che ci trattano come gli ultimi degli stronzi, direi che può bastare così». Non hanno tutti i torti, dato che gli inglesi ostentano da sempre una certa superbia nei confronti dei cugini (Scozia, ma anche Galles e Irlanda del Nord), salvo poi lodarli e celebrarli quando questi portano gloria «all’intero Regno Unito». Esempio stupido: Andy Murray, di professione tennista, è un povero pirla scozzese quando perde, ma un eroe britannico quando vince (cfr. Wimbledon 2013).

Tuttavia l’orgoglio non è sufficiente. E infatti la campagna del «sì» fa perno su due questioni ben più importanti: il petrolio e la valuta. Uno dei cardini della propaganda indipendentista è il completo controllo delle riserve petrolifere del Mare del Nord che sì, si stanno prosciugando, ma tuttora danno lavoro a 450mila persone in tutto il Regno Unito e fanno entrare nelle casse di Londra circa 6,5 miliardi di sterline in tasse ogni anno. Cameron, ovviamente, è convinto che per sfruttare al meglio i 24 miliardi di barili ancora da estrarre sia necessario restare uniti. Salmond, al contrario, crede che la Scozia possa cavarsela benissimo da sé, magari istituendo un fondo sovrano per tutelare i ricavi dalle fluttuazioni del prezzo del petrolio, un po’ come fanno in Norvegia.

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Anche la questione della valuta è spinosa. Il partito del sì dice: «Ehi, noi ora ci stacchiamo, perché ci avete davvero rotto le cornamuse, ma la sterlina ce la teniamo volentieri. Facciamo un’unione monetaria staccata dall’unione politica, dai!». La risposta di Londra è più o meno questa: «Col cazzo. L’unione monetaria ce l’avete già, ed è inclusa nell’unione politica. Se vi staccate sono fatti vostri, piuttosto andate a chiedere di entrare nell’Eurozona». Ma l’euro non è ben visto da quelle parti, se si considera anche la crisi che ha investito i vicini irlandesi nel 2011. Quindi non si sa bene quale sarebbe il futuro monetario della Scozia, ed è proprio su questo punto che i sostenitori del «no» stanno puntando forte per scoraggiare la separazione.

E quella del «no» è sembrata a lungo la fazione dominante. Negli ultimi mesi, tuttavia, si è registrata la rimonta degli indipendentisti, e ora i sondaggi danno i due schieramenti molto vicini l’uno all’altro. Secondo l’ultimissimo sondaggio, a opera di Survation, il «no» sarebbe ancora in vantaggio, ma di soli quattro punti percentuali (48% vs 44%). E l’8% mancante? È l’immancabile gruppo degli indecisi, del «non sa/non risponde», un gruppo davvero consistente che potrebbe rendere la vittoria del «no» ancora più netta o, chissà, portare a sorpresa all’indipendenza scozzese.

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Secondo il sottoscritto, che si è interessato alla questione ma che di politica ed economia capisce fino a un certo punto, prevarrà il «no» e tutto rimarrà invariato. Ma il referendum, così come le spinte indipendentiste nelle Fiandre o le manifestazioni oceaniche della Catalogna, che a sua volta potrebbe andare alle urne a novembre, è un segnale da non sottovalutare in un’Unione Europea che cerca di tenere tutto e tutti assieme, ma che mostra sempre più crepe e spifferi al suo interno.

Per una panoramica più dettagliata e molto più divertente sull’argomento, vi affido al talento e all’arguzia di John Oliver, che nell’ultima puntata del suo show ha cercato di spiegare i rapporti tra Scozia e Inghilterra al popolo americano. E, a occhio, direi che ci è riuscito benissimo.

Fonti:
http://www.bbc.com/news/uk-scotland-scotland-politics-29231440
http://www.bbc.com/news/uk-scotland-scotland-politics-26550736
http://www.bbc.com/news/uk-scotland-scotland-politics-26326117