Can we?

Ebbene sì, lo confermo, questo blog è ancora funzionante. E per la prima volta lo aggiorno direttamente dalla fonte principale delle mie distrazioni, il portatile.

Vaio VPC-eb3m1e/bq

Non è adorabile? Non ispira coccole? Va be’, ok, forse sono leggermente di parte.
A dir la verità non è che il portatile sia fonte di distrazione. Le vere distrazioni provengono dai programmi che vi ho prontamente installato: Pro Evolution Soccer 2011 e Football Manager 2011. Lo so, oltre a essere di parte sono anche monotono (e vagamente monotematico). Ma per una volta mi sento in dovere di descrivere le meraviglie che questi due videogiochi possono compiere.

PES 2011 è un simulatore di calcio: secondo l’accuratissima definizione di Marisa Bonfanti, meglio nota come mia mamma, lo scopo del gioco è “far andare gli omini e fare gol”. Una descrizione sintetica e semplicistica, ma non per questo errata. Prendi il comando di una squadra, scegli i giocatori, imposti le tattiche e via, alla ricerca della vittoria di una partita, di un campionato o di una coppa. Tuttavia la perla è rappresentata dalla modalità BAL (che detta così non suona certo accattivante). BAL è l’acronimo di Become A Legend: tu, videogiocatore in carne ed ossa, puoi creare un calciatore completamente inventato e farlo allenare e giocare fino alla fama internazionale. Qui, per intenderci, è possibile muovere solo un omino, quello creato, avanti e indietro per il campo, cercando di rispettare le indicazioni dell’allenatore. Purtroppo non è possibile creare calciatori fortissimi (diciamo addio ai vari Panzeri dopati delle care vecchie versioni di PES per Playstation 1): il giocatore iniziale è abbastanza scarso – cosa incredibilmente realistica per quello che riguarda il sottoscritto – e pian piano progredisce nelle stagioni. Per dirla tutta, il mio sosia è partito facendo panchina al Bolton e ora è capitano del Lione e punto fermo del centrocampo dell’Italia. Ok ok, devo smettere, lo so.

Ma anche se per sbaglio riuscissi a smettere con PES, ci sarebbe sempre e comunque l’immortale  Football Manager a farmi compagnia! Dopo averlo scoperto nel lontano 2003, sono stato costretto a farne a meno a causa dell’impennata dei requisiti minimi necessari per far girare le nuove versioni sul pc (mentre il mio stoico computer fisso è addirittura peggiorato, in fatto di prestazioni). Ma il portatile ha portato luce, gioia e speranza (amen). E quindi eccomi qui, a tentare di salvare il Wolverhampton (ho già scritto che sono monotono?) dagli abissi della retrocessione. In questo caso il videogiocatore non può “far andare gli omini”. Non direttamente, perlomeno. Il manager fittizio può impostare le tattiche, comprare e vendere giocatori, rompere le palle al presidente per ottenere più soldi da spendere, concedere interviste, organizzare gli allenamenti, fare critiche o complimenti ai colleghi e molto, molto altro. Questo gioco dà soddisfazione ma al tempo stesso non ti sazia mai: è sempre una corsa alla prossima partita, alla prossima campagna acquisti, alla prossima novità tattica. Per quanto riguarda il mio sosia virtuale, il manager Panzeri ha portato a un onorevole 16° posto i Wolves nella stagione 2010/11 (quella attuale, per intenderci). Nell’estate il presidente è stato molto generoso: 40 milioni di euro a disposizione per la campagna acquisti. Ne sono stati spesi 31, e al termine di una stagione fenomenale, la squadra si è classificata all’8° posto, a un soffio dalla qualificazione in Europa League (+ grande cavalcata in FA Cup conclusasi in semifinale, per opera del Chelsea poi vincitore della competizione). E adesso altri 30 bei milioni da spendere e un nuovo obbiettivo, ancora più ambizioso: la qualificazione europea.

Una schermata di FM 2011

Ogni tanto mi sento dire: “Ma ormai hai vent’anni, cosa fai ancora con quelle robe lì? Alla fine, cosa ti viene in tasca? Niente!”. Be’, mi rilassano. Mi divertono. Non penso a nient’altro. Non vedo il problema. Tra una sessione alla batteria e un libro, tra un film e una partita in tv, passare un po’ di tempo con PES o FM è cosa buona e giusta. Unica controindicazione: l’emigrazione in massa delle diottrie. Ma per quanto mi riguarda, ho già perso la mia battaglia contro la miopia, il problema non si pone!

Ma torniamo al tema principale: le distrazioni. Già. Quando siete concentrati sulla creazione di una tattica innovativa, lo studio per gli esami diventa una priorità secondaria. Anzi, diventa una non-priorità, un qualcosa di superfluo. Ecco spiegata l’indicibile sofferenza per studiare dieci-pagine-dieci sulla storia dell’Unione Europea. È vero, alla fine l’esame l’ho dato, in qualche modo, ma il risultato deve ancora arrivare. Boh, speriamo in bene. Mal che vada lo rifaccio (a giugno, assieme ai 23.671 esami annuali di quest’anno).

Ecco, l’università. Il primo semestre è ufficialmente finito. A breve inizierà la sessione d’esami, ma il livello di preoccupazione è piuttosto basso: gli elementi del gruppo 2.4 NL, se si escludono eventuali arretrati, devono dare solo un esame di linguistica olandese. Discorso diverso per le colleghe (femminile d’obbligo, Carcano torna con noi!) del gruppo di russo, che si divertiranno moltissimo nella combo linguistica-cultura russa con la sempre affabile e cordiale professoressa-zarina Irina.

In attesa degli esami, ci si rilassa un po’. E si pensa al futuro. A breve uscirà il bando Erasmus, e io devo ancora capire se potrò fare richiesta o meno. Ma nel frattempo la proposta al centro dell’attenzione è un’altra. Un mese e mezzo, tra luglio e agosto, sperduto nel cuore del Belgio fiammingo, a fare da babysitter per tre bambini. Vitto, alloggio e mini-stipendio garantiti. La tentazione è forte, ma una domanda sporge spontanea: ma mi ci vedete a fare il ragazzo alla pari in una famiglia fiamminga?

Un gruppo di bambini palesemente olandesi

Passare la giornata con tre bambini che ti parlano in olandese infingardo (non vi faccio ora un elenco delle differenze di pronuncia tra olandesi e belgi, non finirei più). Vestirli, farli mangiare, giocare con loro. La possibilità di imparare il vero linguaggio quotidiano, quello che non si studia sui libri. Il rischio di non essere all’altezza della situazione. L’occasione di stare un mese e mezzo in Belgio, con tutti i vantaggi che questo comporta. La paura di sclerare dopo alcuni giorni.

Il presidente USA Obama è diventato famoso per il suo motto usato in campagna elettorale, “Yes, we can”. Qui invece siamo al passaggio precedente, alla domanda. “Can we or can’t we?”. Se avete una risposta, fatemelo sapere.

Alla prossima.

3 pensieri riguardo “Can we?

  1. Dai dai dai vai in Belgio che vengo a trovarti e ne approfitto per fare un salto a Bruxelles!! ^_^ (tanto per la cronaca, ogni santa notte sogno di essere ancora là…)

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  2. Dai hai già imparato con me come trattare i bambini olandesi, ne sono una io! Pero, fiammingi non lo so… sicuramente sono molto più furbi di noi con quella g dolce….

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  3. Un infante riuscirei anche a reggerlo, ma tre credo siano fin troppi. Ho(quasi) scartato definitivamente Zeist e Gent, sto valutando gli infanti fiamminghi e il volontariato internazionale. Booh.

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