Appunti via Carnate – C’è un modo per educare le mamme?

Sono quattro anni abbondanti che pendolo su e giù da Milano. In quattro anni abbondanti ho capito che gli individui che il destino fa sedere accanto a te in genere non ti migliorano la giornata. Soprattutto la sera, al ritorno, quando nella testa ti rimbalzano ancora le conversazioni stucchevoli che un gineceo (a.k.a. dipartimento/facoltà/scuola di ambito linguistico) porta con sé. In quattro anni abbondanti ho imparato inizialmente a fonoisolarmi ai primi segnali di pericolo – un manager troppo loquace, un liceale senza auricolari – e poi a partire già bello che fonoisolato direttamente dalla banchina, ancor prima di mettere piede sui mirabolanti rottami Trenord.

Ora mi chiedo: e se fosse stato un errore? E se avessi volutamente ignorato tonnellate e tonnellate di prezioso materiale umano da selezionare, analizzare, conservare e infine esporre a fini pseudoludici? Sarebbero stati quattro anni abbondanti di occasioni sprecate. Nel dubbio, un po’ per dribblare i sensi di colpa, ho provato a espormi senza filtri alla giungla che ogni giorno transita (anche) via Carnate.

E ho pian piano imparato a riconoscere al volo gli individui più forieri di soddisfazioni. Come la donna, a occhio tra i trentotto e i quarantatré anni, che qualche tempo fa è salita su un treno pomeridiano diretto a Bergamo. Capelli corti e lisci, tinti di un colore indefinito tra il biondo e l’arancione; timbro nasale fastidioso, che rientra perfettamente nella categoria “suocera-rompicoglioni-che-non-è-ancora-suocera-ma-nel-frattempo-si-porta-avanti-col-rompere-i-coglioni”; collane e bracciali tanto ingombranti quanto inutili. Vestiti e scarpe non me li ricordo, ma il personaggio mi sembra già ben inquadrato così.

La donna raggiunge due amiche. Coetanee, presumo. Però una, frangia squadrata e naso a patata, sembra più giovane; l’altra, occhio spento e maglione depresso, più vecchia.

“Ciao ragazze!”, esclama WannabeSuocera. E lo fa con un’intonazione molesta, urticante, roba da tirarle un cartone sul muso. Ma poiché i cartoni sul muso non sono – o tempora, o mores – socialmente accettati, mi limito ad avviare Evernote e a sistemarmi più comodo sul sedile. E a dire il vero penso che gli stessi appunti di Evernote siano sufficienti per illustrare la banalità quasi hardcore della prima mezz’ora di viaggio.

“Ma hai fatto qualcosa ai capelli? Non hai fatto la piega? […] Oggi ho avuto una giornata terribile. Ragazze, menomale che è venerdì. […] Ma come mai fai poche ferie? È un anno e sei mesi che sono assunta. Sono dei veri stronzi. Non vedo l’ora di andarmene. […] Le scarpe, dici? Queste le ho prese a Pittarello, a Curno. Sono comodissime. È dove c’è l’Era l’Ora. […] Io sono drogata di caffè. Adesso in ufficio è arrivata la macchinetta nuova. Io non ne posso fare a meno. Una volta sudavo freddo e tremavo. Il mio ex marito mi ha detto: è astinenza da caffeina. Io il ginseng lo adoro. […] Nero corvino coi riflessi blu. Ma ero bionda coi capelli lunghi. Quando mi sono sposata ero bionda. Ma lui ti ha conosciuto nera? Ho sempre avuto la frangia. E da bionda sono passata a nero corvino coi riflessi blu. […] Tesoro, topolino, ciao ciao! Questa è la dimostrazione di come una bella ragazza come te possa trasformarsi in mostro! Ah ah ah! Poi eri grassa! A sedici anni pesavo 64 kg ed ero bionda, giusto per smagrire un po’. Secondo me è difficilissimo il nero. Tutti i colori scuri ti segnano.”

Ora. Sulle scarpe ho alzato gli occhi al cielo. Sulla stronzata del caffè ho alzato le sopracciglia. Però su “tesoro, topolino, ciao ciao” ammetto di aver emesso un rumore indefinito, un misto tra una risata, un colpo di tosse e un rutto. E per una volta sono stato costretto a ringraziare la totale assenza di isolamento sonoro dei vagoni Trenord, che proprio in quel momento sferragliavano alla grande. Ah, sì, sorvolerei sui biechi insulti travestiti da gai motti di spirito. Ma analisi tricologiche a parte, la parte più interessante – socioantropologicamente parlando – o raccapricciante, fate voi, è la seguente.

WannabeSuocera scuote i capelli arancioni, alza un indice minaccioso e si scaglia contro le educatrici di sua figlia, che da poco ha iniziato la scuola materna. FrangiaPatata e OcchioMoscio la guardano rapite. A quanto pare un colloquio tra mamma e maestra è imminente:

“Adesso lei mi dirà che lei ha dei bei voti, ma io le dico che da quando fa la scuola non mangia, sputa, urla, è tutta un ‘non voglio, non voglio, non voglio'”.

Allora. Con calma.

Punto 1: i bambini all’asilo ricevono dei voti?
Punto 2: GRANDISSIMA BAMBINA, SIAMO TUTTI CON TE! SPUTA IN FACCIA A ‘STA DEMENTE!
Punto 3: siamo a novembre, per la gioia di Giusy Ferreri. Al massimo la bimba avrà trascorso due mesi in tutto, all’asilo, se è il suo primo anno. Due mesi. Contro circa tre anni di educazione materna. E tu, mamma 2.0, vorresti far credere che tua figlia, dal nulla, inizi a disobbedirti perché all’asilo in due mesi l’hanno trasformata in un capo ultrà? Chi cazzo lo gestisce quell’asilo, Burzum?

Il dito minaccioso si leva virtualmente anche contro il coniuge:

E devo dire a mio marito di non smorzare i toni, perché lui è uno che ‘sì, però, forse…’.”

E così m’immagino il marito, seduto accanto a WannabeSuocera e di fronte a MaestraBurzum, che tenta di frenare il delirio causato da anni e anni di tinte, di riflessi, di colpi di sole che poco a poco hanno intaccato l’area del cervello dell’amata destinata al buon senso. Ammesso che ce ne sia una.

Poi, poco dopo la stazione di Calusco, eccola. La Grande Sentenza.

“Ci sono due modi per educare un figlio: assecondarlo o mettere dei paletti”.

E così mi immagino WannabeSuocera che esce dalla bocca di un vulcano, e mentre nel cielo imperversano tuoni e lampi, lei esclama: “Io sono Pdor, figlio di Kmer, della tribù di Ishtar”. E sotto di lei FrangiaPatata e OcchioMoscio, in una sorta di fanatica adorazione, si organizzano in fretta e furia per provare a scolpire il Verbo della loro mentore su tavole di pietra.

E probabilmente mi immaginerei anche una scena in cui bimba, marito e MaestraBurzum piantano paletti un po’ ovunque nel corpo della Profetessa, ma ridendo e scherzando è già ora di scendere. Peccato, proprio sul più bello.

12 pensieri riguardo “Appunti via Carnate – C’è un modo per educare le mamme?

  1. e tu hai deliberatamente resistito a tutto questo per potercelo raccontare? Ma se ero al posto tuo non mi tappavo le orecchie e m’inventavo una storiella su quanto è fiqo immaginare i dialoghi di chi hai di fronte?!

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  2. Devo dire che per un po’ mi sono chiesta se tu non ti fossi imbattuto in una mia compagna di università, ora cittadina bresciana, e nelle sue amiche. Per fortuna la descrizione non corrisponde completamente.
    “Io sono Pdor, figlio di Kmer, della tribù di Ishta” è geniale!! 🙂

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