Conversazioni elitarie

Chi: Sally Rooney
Cosa: Conversations with Friends
Quando: 2017
Dove: Dublino, Irlanda
Come: English
Perché: da qualche tempo la cara Sally compare in ogni lista di giovani autori promettenti (lei è del ’91), e allora mi è parso giusto indagare di persona.
E in italiano? Parlarne tra amici (2018, Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli)
Sunto:
Frances, voce narrante, è una pacata studentessa 21enne del Trinity College dagli ideali comunisteggianti e dalle incerte ambizioni letterarie. A completarla è la brutale coetanea Bobbi – amica, ex fidanzata, anima affine – argomentatrice seriale dal carisma abbagliante. Insieme si esibiscono nei circoli letterari dublinesi recitando poesie spoken word, ed è così che incontrano Nick, attore belloccio e remissivo, e Melissa, fotografa esagitata e dominante, uniti dal matrimonio ma divisi da misteriose vicende passate. Inesorabilmente si forma un triangolo, i cui vertici, con il passare delle pagine, si fanno sempre più aguzzi e iniziano a provocare ferite – alcune superficiali, altre profonde – a tutti i personaggi coinvolti.
Bonus: a spiccare è soprattutto la capacità di Rooney di esplorare la mente dei millennial; l’interesse per quanto accade nel mondo, così come la mancanza di certezze e la vaga sensazione di inadeguatezza sono tratti in cui un twentysomething – un ventenne-e-qualcosa, per restare pigramente adesi al termine inglese – può ritrovarsi appieno. L’intreccio, la mera successione di eventi, non porta da nessuna parte, ma è chiaro che per l’autrice i fatti siano soltanto un mezzo per amplificare dialoghi (asciutti e incisivi) e riflessioni. Inoltre, il soffermarsi su dettagli minori, la volontà del (e l’abilità nel) narrare le piccole cose, restano impressi e rendono il racconto più verosimile.
Malus: ogni tanto si ha l’impressione che l’autrice non sia in pieno controllo della storia, qua e là spuntano ripetizioni e passaggi fuori fuoco. Va poi detto che gli ambienti in cui Bobbi e Frances si aggirano – cerchie artistiche progressiste alquanto elitarie – non portano esattamente il lettore a un’empatia totale e incondizionata. In altre parole: se vi aspettate che le conversations del titolo vertano sull’ultimo vincitore dell’Eurovision, sul fantacalcio o sulle mascherine FFP3 (cristosanto), rimarrete delusi.
Supercit.

“Things and people moved around me, taking positions in obscure hierarchies, participating in systems I didn’t know about and never would. A complex network of objects and concepts. You live through certain things before you understand them. You can’t always take the analytical position.”


Consigliato a: facciamo uno strappo alla regola – se i temi e lo stile del romanzo vi sembrano vagamente interessanti, considerate la lettura di Normal People, della stessa autrice (Persone normali nell’edizione italiana), più maturo e meno rarefatto.
Fun fact: negli anni dell’università Rooney è stata “dibattitrice agonista”, ovvero ha partecipato a diverse competizioni nazionali e internazionali di dibattito (ebbene sì, esistono davvero), un’esperienza di cui parla in questo saggio del 2015 pubblicato sulla Dublin Review – che peraltro dà un’idea abbastanza chiara del suo modo di scrivere.

Sally Rooney, Guardian UK, May 24, 2017 : Foto di attualità

Sapiens (fino a un certo punto)

sapiens

Cosa: Sapiens – Da animali a dèi – Breve storia dell’umanità

Chi: Yuval Noah Harari

Quando: 2011

Dove: Israele

Come: italiano (traduzione di Giuseppe Bernardi, Giunti Editore)

Perché: libro regalatomi e descrittomi come saggio imprescindibile a cui dedicarsi con monacale devozione al fine ultimo di raggiungere l’Estasi Cerebrale Suprema.

E l’originale? Sapiens – From Animals into Gods: A Brief History of Mankind

Sunto: Si parte dall’inizio che più inizio non si può – dal Big Bang, dunque – e si arriva ai giorni nostri, forse non proprio al governo gialloverde e agli isterismi di Icardi e Wanda Nara, ma poco ci manca. Nel mezzo, come da sottotitolo, una breve storia dell’umanità: ampie riflessioni sulla preistoria, spunti vari sulla scrittura, il denaro e il potere, sciabolate morbide dall’animismo al cristianesimo, fino alle inevitabili congetture su ciò che il futuro ci riserva. La specie Sapiens lascerà spazio al superuomo? Saremo circondati da tanti piccoli Avengers? La risposta è: chi lo sa (però, nel dubbio, speriamo di no).

Bonus: per citare l’élite intellettuale londinese del primo Novecento, il buon Harari “knows his shit”. I temi affrontati sono molteplici e spesso ostici, specie quando li si deve analizzare in poche pagine, ma l’autore riesce nell’intento con chiarezza, competenza e – tutto sommato – anche una discreta eleganza. La caterva di note a pié di pagina, ammassate a fine libro, lascia un’ottima impressione in merito alla veridicità di quanto argomentato o descritto (nella speranza che la fonte non sia Lercio). La metodicità di Harari, la sua capacità di affrontare lo scibile umano e condensarlo in 500 pagine, è qualcosa di commovente.

Malus: voi leggereste mai un’enciclopedia? Non dico consultarla, proprio leggerla. Preparare una tisana, mettervi sotto le coperte e leggere un volume di enciclopedia da cima a fondo, come un romanzo o – per i meno ambiziosi – un articolo di BuzzFeed. A meno che non siate personcine particolarmente perverse, la risposta è “no”. E sapete il perché? Perché nel giro di cinque minuti sareste tra le braccia di Morfeo. Il rischio che corre il lettore di Sapiens è proprio questo: l’abbiocco fulminante. La narrazione di Harari è limpida, i suoi studenti saranno ben lieti di averlo come professore, ma l’approccio didattico, alla lunga, può risultare monocorde e, spiace dirlo, noioso. L’autore prova ogni tanto ad alleggerire il tono della narrazione, ma sono tentativi blandi, tiri telefonàti che non impensieriscono il portiere avversario. Ci sarà un motivo se Sapiens è stato celebrato a destra e a manca, ma per i miei gusti manca quella scintilla, quel guizzo vitale che permette ai migliori saggisti di intrattenere, oltre a informare.

Supercit. Quando Harari tratteggia il futuro dei Sapiens, nubi minacciose si stagliano all’orizzonte:

Nonostante le cose sorprendenti che gli umani sono capaci di fare, restiamo incerti sui nostri obiettivi e sembriamo scontenti come sempre. Siamo passati dalle canoe alle galee, dai battelli a vapore alle navette spaziali, ma nessuno sa dove stiamo andando. Siamo più potenti di quanto siamo mai stati, ma non sappiamo che cosa fare con tutto questo potere. Peggio di tutto, gli umani sembrano più irresponsabili che mai. Siamo dèi che si sono fatti da sé, a tenerci compagnia abbiamo solo le leggi della fisica, e non dobbiamo render conto a nessuno. Di conseguenza stiamo causando la distruzione dei nostri compagni animali e dell’ecosistema circostante, ricercando null’altro che il nostro benessere e il nostro divertimento, e per giunta senza essere mai soddisfatti.

Consigliato a: chiunque cerchi al contempo nozioni di storia, archeologia, filosofia, economia, fisica, sociologia, etica e molto altro ancora. Mi raccomando: assumere con cautela.

Curiosità: a Sapiens hanno fatto seguito Homo Deus. Breve storia del futuro (2016) e 21 lezioni per il XXI secolo (2018).

Spoiler alert: si stava meglio quando si stava peggio.

Sangue. Morte. E. Altre. Amenità.

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Cosa: Il selvaggio

Chi: Guillermo Arriaga

Quando: 2016

Dove: Messico/USA/Canada

Come: italiano (traduzione di Bruno Arpaia, Bompiani, 2018)

Perché: perché un giro alla Feltrinelli di Porta Garibaldi lo si fa sempre volentieri, soprattutto quando dal nulla compaiono opuscoli dal titolo “100 libri per l’estate”.

E l’originale? El salvaje

Sunto: nella brutale Città del Messico degli anni Settanta, il giovane Guillermo convive con il fantasma del fratello gemello, morto strangolato durante il parto. Poi deve convivere con la brutta fine del fratello maggiore (un ventenne hipster ante litteram a capo di un fruttuoso traffico di morfina e LSD, quindi malvisto dalla polizia e dai facinorosi gruppi rivali, quindi assassinato nell’omertà più assoluta). A fare loro compagnia arrivano la nonna, spentasi sul divano senza che nessuno se ne accorgesse, e i genitori, artefici e vittime di un incidente stradale cercato per porre fine al loro dolore.

Bella la preadolescenza, eh, Guillermo?

A tenere il protagonista a galla sono: Chelo, vitale ragazza appassionata di peni; King, adorabile cane fifone; Avilés, panzuto domatore di bestie feroci; e, in un certo senso, Colmillo, un lupo che Guillermo decide di addomesticare in casa, giusto perché mantenere integro almeno il mobilio, nella sfiga generale, gli faceva probabilmente schifo.
Mentre Guillermo cerca di compiere la sua vendetta, l’autore intreccia le vicende del cacciatore Amaruq, del lupo Nujuaqtutuq (sic), del buon ingegner/allevatore Mackenzie e di altri personaggi minori in settecentocinquantadue intense pagine.

Bonus: Il selvaggio è un romanzo a tinte fortissime con un suo perché. La narrazione ambientata in Messico appare tutto sommato credibile e convincente, Guillermo – poraccio – è un protagonista al contempo tosto e fragile, ben definito, così come valide sono le spalle Chelo e Avilés.

Malus: Ci sono tante piccole cose che non mi tornano, ma a darmi fastidio, più in generale, è soprattutto la sensazione che, dopo una prima parte ispirata, Arriaga abbia messo da parte l’estro e si sia affidato alla pura, fredda, triste logica per far quadrare i conti e arrivare a un’unione dei due filoni principali – le sanguinose avventure di Guillermo e il rispetto letale tra Amaruq e Nujuaqtutuq – che pare davvero forzata. Anonimi i capitoli dedicati a Mackenzie, scialba la voce narrante, improbabile l’incontro con l’improbabile veterinario. Ce lo vedo, Arriaga, che si fa uno schemino delle narrazioni su un foglio (a quadretti) e cerca di capire cosa inventarsi per farle combaciare. È come quando col tema in classe impiegavo ore a costruire epiche argomentazioni, mi accorgevo che mancavano dieci minuti alla fine e buttavo giù una chiusura stitica e affrettata giusto per far incastrare tutti i pezzi.
(Per giunta qui il finale è quasi offensivo nella sua banalità.)

Supercit. Roba allegra:

«Chiunque abbia visto morire un essere vivente sa che la morte non arriva in maniera definitiva e totale. La morte è un’ondata di piccole morti. Non siamo individui, ma la somma di cellule che si raggruppano per dar forma a ciò che crediamo sia un individuo. La morte non è altro che la morte di un insieme di molteplici esseri viventi. I tessuti non finiscono di colpo, ma vanno spegnendosi uno dopo l’altro».

Consigliato a: ammiratori di Quentin Tarantino, Jack London e Jimi Hendrix. E ai fan della letteratura non convenzionale, quella in cui l’autore, bello pacifico, sta portando avanti un discorso tranquillo e. Poi. Sangue. Dal nulla. Morte. Sangue. Si mette. Ma perché? Sangue. A Scrivere. Ho già detto sangue? Così.
Per non parlare dei potenti attacchi di SafranFoerismo (a.k.a. calligrammi).

Curiosità: Arriaga ha sceneggiato diversi film del regista Alejandro Iñárritu, noto alle masse per Birdman (4 Oscar nel 2015) e Revenant (3 Oscar 2016).